Equo compenso, prime criticità

La L. 21.04.2023, n. 49 sull’equo compenso ha fin da subito mostrato alcune criticità. Nell’articolo ci si sofferma su quelle di maggiore impatto.

In un precedente intervento (Ratio Quotidiano del 17.05.2023) sono stati tratteggiati i lineamenti principali della L. 21.04.2023, n. 49 (in vigore dal 20.05.2023), rubricata “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”.
Ebbene, tenuto conto che il provvedimento normativo stabilisce altre disposizioni per le quali si riscontrano alcune criticità, di seguito si evidenziano quelle di maggiore impatto.

Per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente dai c.d. Decreti parametri per i professionisti iscritti in ordini o collegi, mentre per i professionisti di
cui all’art. 1, c. 2 L. 14.01.2013, n. 4, dal D.M. da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge e successivamente con cadenza biennale.
Su questo primo punto è da rilevare che i parametri di riferimento, in diversi casi, sono datati e non più in linea con il mercato. Invero, per la categoria dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, ancora oggi il D.M. di riferimento risale al 2012 (n. 140 del 20.07.2012); decreto che non contempla nemmeno talune attività rilevanti per la categoria.
Per cui è necessario e urgente che il Ministero della Giustizia ponga rimedio in tempi brevi, adottando, su proposta del CNDCEC, un nuovo decreto che preveda più specificatamente le numerose attività professionali, rivalutando al tempo stesso i compensi (equi) anche alla luce dell’incremento Istat registrato nel periodo, che si attesta circa al 20%. Si tenga altresì conto che gli artt. 1, c. 1, lett. c) e 5, c. 3 L. 49/2023 prevedono adeguamenti biennali dei più volte citati parametri, mediante l’emanazione di decreti ministeriali ad hoc.

Altra criticità che si riscontra già in questa fase iniziale di applicazione della norma è rappresentata dal fatto che molti incarichi derivanti dalla Pubblica Amministrazione o da società partecipate da quest’ultima devono fare i conti anche con norme speciali che addirittura ammettono ancora oggi la gratuità degli incarichi e affidamenti. Il richiamo va in particolare al nuovo codice degli appalti di cui al D.Lgs. 36/2023 che all’art. 8, c. 2 recita (a dispetto della rubrica dello stesso articolo): “Le prestazioni d’opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la Pubblica Amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso”.
Tale fraseggio, con tutta probabilità, contribuirà ad alimentare interpretazioni molteplici con rischi di contenzioso che sarebbe stato opportuno evitare alla radice.
Inoltre, merita segnalare che l’art. 5, c. 5 stabilisce anche indirizzi agli ordini e collegi professionali, inerenti disposizioni deontologiche volte a sanzionare la violazione del professionista, qualora fissi un compenso non
equo e proporzionato alla prestazione professionale e determinato in applicazione dei più volte menzionati parametri previsti dai diversi decreti ministeriali.
Anche questa previsione lascia dubbiosi, vuoi perché limitata ai soli professionisti ordinistici, vuoi perché delega gli stessi ordini e collegi professionali a intraprendere azioni delicate e complesse: valutare un iscritto diviene quasi impossibile in un’economia di mercato, dove le variabili sono all’ordine del giorno.

Alessandro Pescari

Fonte: RatioQuotidiano | 14.06.2023

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