Transizione 4.0 rafforzata dal PNRR

Primi spunti e osservazioni sul Piano nazionale di ripresa e resilienza inviato dal Governo a Bruxelles.

Come noto, nei giorni scorsi il Governo ha licenziato il Piano nazionale di ripresa e resilienza (c.d. Recovery plan) per il periodo 2021-2026.
Il Piano, approvato con le risoluzioni del Parlamento, è stato trasmesso alla Commissione Europea entro la scadenza del 30.04. Molte aspettative (giustamente) sono riposte in un programma di investimenti senza precedenti, necessari per rilanciare l’economia del nostro Paese e dell’Unione Europea.
Limitatamente al tema in argomento, Transizione 4.0, la missione 1 (componente n. 2) stanzia circa 14 miliardi di euro (più ulteriori 4,48 miliardi di euro a valere sul fondo complementare), con l’obiettivo di rafforzare la competitività del sistema produttivo facendo leva sulla digitalizzazione, l’innovazione tecnologica e l’internazionalizzazione delle imprese.
Viene quindi confermata la politica di incentivazione fiscale già in corso, attuata negli ultimi anni per colmare il gap di digital intensity del nostro sistema produttivo, in particolare nelle Pmi (micro e piccole imprese).

Dalle schede accluse al PNRR, si evidenza che le misure di incentivazione fiscale rappresentano un tassello fondamentale della strategia complessiva tesa ad aumentare la produttività, la competitività e la sostenibilità delle imprese italiane. Dal lato dell’offerta, tale strategia prevede il potenziamento della ricerca di base e applicata e la promozione del trasferimento tecnologico. Dal lato della domanda, gli incentivi fiscali inclusi nel Piano Transizione 4.0 sono disegnati allo scopo di promuovere la trasformazione digitale dei processi produttivi e l’investimento in beni immateriali nella fase di ripresa post-pandemica.
Il Piano costituisce un’evoluzione del precedente programma Industria 4.0, rispetto al quale sono confermate e potenziate le linee guida. Sul punto:

  • si continuano a prevedere crediti d’imposta ad hoc, compensabili con debiti fiscali e contributivi;
  • il periodo di riconoscimento delle agevolazioni è ampliato al 2026 (salvo verificare i decreti attuativi/regolamentari);
  • gli investimenti immateriali godranno di incrementi delle percentuali di credito e dell’ammontare massimo agevolabile.

Di talché si ritiene vi possa essere un aumento di produttività, una maggiore efficienza da parte delle imprese incrementando altresì la competitività e la sostenibilità delle filiere produttive in cui queste sono integrate, con ricadute positive sull’occupazione.
A conferma di quanto sopra, viene stimato un impatto sul Pil dello 0,1 per l’anno in corso, dello 0,2 per il 2022 e dello 0,3 per ciascuno degli anni dal 2023 al 2026.

Inoltre, dalle Commissioni parlamentari, emerge l’ulteriore novità che il credito d’imposta di cui al Piano Transizione 4.0 potrebbe seguire le sorti di altri bonus ammettendone la cessione a soggetti terzi, inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari.
Ebbene questa modifica, ove inserita in uno dei prossimi decreti emergenziali, sarebbe salutata favorevolmente dalle imprese, poiché in un periodo dove gli investimenti latitano, ciò rappresenterebbe un volano importante al pari di quanto si sta registrando in altri settori, quali l’edilizia.
Tuttavia, non va sottaciuto che, secondo una recente indagine di Unioncamere, solo il 26% delle imprese italiane è a conoscenza del Piano Impresa 4.0 e, tra queste, il 9%, pur conoscendolo, comunque non investe. Per il resto, vale a dire per i 2/3 della manifattura italiana, gli strumenti messi in campo e le grandi opportunità offerte dalle tecnologie non sono (ancora) all’ordine del giorno.


In conclusione, per quelle imprese che hanno la possibilità di continuare ad operare (la maggioranza) si prospettano tutti i presupposti per beneficiare di agevolazioni significative, che possono contribuire a rilanciare il business aziendale concedendo anche opportunità di lavoro qualificato.

Alessandro Pescari

Fonte: Ratioquotidiano.it | 12.05.2021

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